Etica ed epistemologia scientifica

Prof. Carlo CASALONE - Pontificia Università Gregoriana - Roma

Etica ed epistemologia scientifica.
Considerazioni e domande a partire dalla relazione del prof. Alessandro Giuliani.
Carlo Casalone

L’approccio sistemico – di cui abbiamo sentito l’importanza, soprattutto in riferimento alle “scienze naturali” – sta mostrando la propria fecondità in molteplici ambiti scientifici: non solo nelle “scienze naturali” (biochimica, genetica, fisiologia…), ma anche nelle “scienze umane” (psicologia, sociologia, economia, …). Basti pensare alla scuola sistemico-relazionale di Paolo Alto (o, in Italia, la scuola di Mara Selvini-Palazzoli) e alla sociologia di E. Morin. I recenti sviluppi del pensiero della complessità e della informazione-comunicazione hanno conferito a tale approccio ulteriore consistenza. Ciò non significa tuttavia che esso sia universalmente accettato: non mancano scienziati che impostano (“riduzionisticamente”) la spiegazione delle funzioni superiori di sistemi complessi riconducendole alle caratteristiche delle componenti elementari. Il concetto centrale che qualifica l’approccio sistemico consiste nell’interattività, di cui possiamo indicare tre livelli.

1. Anzitutto fra gli elementi di uno stesso insieme, la cui reciproca influenza può essere sia sinergica sia antagonista. Dinamiche complesse e realtà contraddittorie sono incluse nell’unità. Un dato assai importante per ogni discernimento (etico), che è chiamato ad assumere sia la complessità sia l’ambivalenza di fattori concorrenti. A questo livello emerge poi la variabilità delle caratteristiche di uno stesso elemento, che modifica il proprio profilo in base all’insieme dei legami in cui è inserito. Abbiamo visto come questo valga per il comportamento dello stesso
tipo di atomo posizionato in diverse molecole, ma analogamente sappiamo che questo accade pure per il significato delle nozioni impiegate in diversi contesti teorici o disciplinari. Infine è dalle interazioni degli elementi che scaturiscono qualità nuove (emergenti),non deducibili dalle
proprietà che ogni singolo componente possiede allo stato isolato: un aspetto che viene talvolta definito organizzattivo.

2. In secondo luogo, l’interazione si realizza con altri sistemi, poiché ogni sistema non è mai completamente chiuso su di sé. La “finalità”cui l’organismo è orientato può allora essere intesa come equilibrio complessivo all’interno dell’ambiente in cui è inserito. Occorre quindi prendere in conto la nozione di omeostasi e di auto-organizzazione, come stato intermedio tra due estremi: uno stato rigido, incapace di modificarsi senza dissolversi, e un rinnovamento incessante e caotico, privo di continuità riconoscibile. L’identità è quindi riferita a uno stato di equilibrio la cui stabilità è dinamica,capace di riconoscere un ruolo al disordine e di coniugare cambiamento e invarianza, evitando la disgregazione. Si trova qui una consonanza con una comprensione dell’identità che prende contemporaneamente in conto l’altro e il medesimo, articolandoli al suo interno. Questo non significa eliminare le proprietà ontologiche degli enti, ma assumerne la complessità relazionale.

3. Infine, un sistema non è mai già presente in quanto tale, poiché viene sempre ritagliato all’interno di una realtà (sistemica) più ampia, in seguito a una scelta operata dal soggetto conoscente. Questo comporta che il modo in cui la nozione di sistema rinvia alla realtà non è identica a quanto vale per il concetto classico di oggetto, considerato come entità chiusa e indipendente dall’osservatore umano e dal contesto. Occorre infatti un soggetto conoscente (sempre culturalmente e storicamente situato) per delimitare il sistema: l’oggetto-sistema è sempre l’oggetto di un soggetto che ha definito quel sistema, in una insormontabile circolarità.
Prima di formulare alcune domande, vorrei sottolineare come recenti indicazioni del Magistero di papa Francesco incoraggino questa prospettiva “sistemica”:

  • 1. i quattro grandi principi di Evagelii gaudium, fa cui soprattutto: la realtà[sistemica] è più importante dell’idea [afferrata nel concetto](cfr nn. 231-233) e il “tutto è superiore alle parti” (nn. 234-237). Quest’ultimo principio è stato esplicitamente richiamato anche in alcuni recenti interventi a proposito delle “tecnologie emergenti e convergenti”(cfr Discorso all’Assemblea 2 generale della Pontificia Accademia per la vita sulla robotica, 25.2.2019, e Lettera per il 25° anniversario PAV, 6.1.2019, n. 12);
  • 2. l’ecologia integrale, con la insistente attenzione sulle correlazioni complessive e sulle interdipendenze, per cui non si possono affrontare i fenomeni in modo isolato, ma solo considerando le loro connessioni (sistemiche);
  • 3. la transdisciplinarità, come approccio conoscitivo che supera la giustapposizione dei contenuti conoscitivi dei diversi saperi e cerca di cogliere la loro interazione sia nel favorire una più avvertita comprensione dei fenomeni, sia in una reciproca accoglienza tra i diversi tipi di razionalità che ciascuno mette in opera (cfr Veritatis gaudium, n. 4.c, e Discorso alla Facoltà Teologica Italia Meridionale, 21.6.2019). Emerge quindi una sollecitazione alla teologia perché si ponga consapevolmente e con apertura in rete con i diversi saperi, in una logica di ospitalità dialogante e di interazione multidirezionale (o “poliedrica”).

Da qui, solo a titolo esemplificativo e di avvio per la discussione, alcune domande:

1. Sul piano biologico.

  • a. Come questa prospettiva modifica la comprensione delle realtà di cui siamo chiamati a interessarci? Per es. la biologia sta effettivamente mettendo in discussione il modo abituale con cui si delimita l’individualità di un organismo vivente rispetto al suo ambiente, in forza delle interazioni con microrganismi simbionti che abbattono i confini netti con cui sinora si pensava fossero delimitati tali organismi? Una molteplicità di simbionti è infatti presente all’interno dell’organismo, modificandone il metabolismo e svolgendo un ruolo determinante in diverse attività fisiologiche (oltre che entrando nella linea dell’eredità).
  • b. Quale rilevanza attribuire alla costituzione biochimica del genoma, dato che l’epigenetica e la regolazione dei geni operata dall’ambiente fisico e culturale assume una sempre maggiore rilevanza e ha favorito una comprensione meno deterministica e più dinamica del corredo ereditario?
  • c. Come questo approccio favorisce una nuova comprensione nella delimitazione di sistemi in stretta interazione fra loro, come l’organismo del feto e quello della madre (dove l’io materno si trova abitato da un non-io, rispetto a cui i confini sono marcatamente porosi, e il self immunologico materno sviluppa una tolleranza ospitale nei confronti del (per lei, non) self fetale, che cresce all’interno del proprio spazio corporeo)?

2. Sul piano del dialogo tra discipline.

  • a. Questa impostazione può facilitare un’intesa e un dialogo operativamente efficace con il mondo tecnico-scientifico, rendendo più incisivo il lavoro dell’etica nel dibattito pubblico? La dinamica tecno-scientifica infatti tende a produrre processi di modellizzazione che assumono una sempre maggiore autonomia, annidandosi e inscrivendosi all’interno dell’ambiente naturale e sociale (“infosfera”). Si stabilisce cioè un logos realizzato, che prende forma nei concetti scientifici e nei dispositivi tecnici. Si pone così in essere un insieme che, alleandosi alle forze economiche, sembra sfuggire sempre più al potere di chi lo ha messo in opera. Così il sistema cognitivo e operativo che ne risulta sembra essere sempre meno permeabile e isolarsi sempre più dal sistema etico.
  • b. Questa impostazione sistemica e attenta alla complessità è in grado di favorire un’integrazione (organica) degli aspetti più rilevanti elaborati dall’etica teologica nel dopo Concilio e di rilanciare in modo nuovo, una “etica di tipo sistemico”? (intendendo con questa espressione non tanto una nuova etica, ma un modo sintetico per dire un discernimento etico che procede da una prospettiva sistemica).

3. Sul piano dell’etica teologica.

  • a. Può la nozione di omeostasi declinata in relazione al soggetto agente o a un gruppo (che le scienze, soprattutto umane, aiutano a individuare) contribuire a una comprensione e a una valutazione più avvertite del bene possibile e del carattere morale di un atto umano (in quanto appunto non possono troppo perturbare l’omeostasi)?
  • b. Come il modo di riferirsi del sistema alla realtà può modificare la comprensione dell’“oggetto morale”, in quanto nozione che chiede di prendere in considerazione una molteplicità di elementi?
  • c. Come un tale approccio può permettere una comprensione più soddisfacente dell’agire morale, articolando i diversi ordini di causalità che vi interagiscono? Occorre infatti non fermarsi alle apparenze di un comportamento, superando una sorta di ingenuo “monismo eziologico”: ci sono diversi livelli esplicativi che ne rendono ragione (“sovradeterminazione”). Ogni comportamento dipende da fattori somatici, psichici e sociali, sui quali anche retroagisce e che sono collegati tra loro e con l’ambiente. Per questa via si può anche intravedere una prospettiva di approfondimento biblico secondo l’approccio narrativo. In molti racconti biblici, un evento è raccontato in modo tale da partecipare a due sistemi di causalità. L’evento in questione si lascia capire come il risultato di una causalità propriamente umana e, d’altra parte, come l’effetto di una causalità propriamente divina. Al racconto biblico viene quindi regolarmente associata una visione “stereoscopica” della storia, che manifesta l’effettività dell’agire umano in relazione alla – o all’interno della – effettività dell’agire divino, nel rispetto delle corrispondenti libertà.