Commento sulla relazione di A. Moro: “Perché solo noi: dai confini di Babele alla neurolinguistica

Commento sulla relazione di A. Moro: “Perché solo noi: dai confini di Babele allaneurolinguistica. La specificità del linguaggio umano - René MICALLEF Pontificia Università Gregoriana

Nella mia risposta, commenterò brevemente tre aspetti che emergono dalla relazione del prof. Moro. Per primo, partendo dall’ancoraggio biologico del linguaggio, dimostrato dagli studi di Moro, farò una riflessione sulle implicazioni di tale ancoraggio per la libertà (immensa seppur confinata) della comunicazione umana, e quindi per nostra razionalità pratica. Anche se la razionalità non si riduce al solo linguaggio, e il linguaggio non si riduce alla sola sintassi, con questa ricerca si tocca il tema del logos umano.

In un testo di Moro che fa riferimento al prologo del Quarto Vangelo, si riflette sul fatto che la scienza ci dice oggi che “la carne si fece logos”. Alcune strutture nel nostro cervello, tramite un salto evolutivo, sono divenute capaci di gestire e computare permutazioni sensati di sintagmi, organizzati gerarchicamente, seguendo le cosiddette “grammatiche possibili” (scoperti con gli studi di Chomsky ed altri), e combinando morfemi funzionali appartenenti ad una classe chiusa con altri di una classe aperta in continua evoluzione ed espansione. Tale capacità è difficilmente replicabile da un algoritmo e completamente assente nel mondo animale, persino nelle scimmie antropomorfe che condividono con noi il 98% del DNA.

Estrapolando da questa ricerca, ma evitando facili riduzionismi naturalistici, possiamo postulare che sia proprio su queste basi che si poggia la nostra capacità raffinata di ragionare e comunicare con gli altri, costruendo società complesse e organizzando il nostro agire secondo finalità future e intersoggettive, che danno forma a dei valori.
Tutto questo ha delle ricadute sul futuro della ricerca di un’etica interculturale che la tradizione morale cattolica ha condotto sotto il nome di “legge naturale”.
Le tesi di Moro ci propongono dei modi nuovi di mettere in dialogo la “natura ut ratio” e la “natura ut natura” come due basi possibili di una etica condivisa con l’altro, fondamenta che dividevano canonisti, teologi e giuristi civili nel medioevo prima della nota sintesi tomista, e che sono tornate alla ribalta durante i dibattiti sulla Humanae vitae.

In un secondo momento molto breve farò cenno a due altri elementi da notare nella riflessione di Moro. Il primo tocca il tema della specificità della natura umana, che è il tema più specifico del nostro seminario. Essa viene ribadita dagli studi di Moro da una prospettiva interessante, che spesso non viene considerata negli ambiti tipici della teologia morale.

Tuttavia, bisogna sempre chiedere con quale atteggiamento andiamo a cercare tale specificità dell’humanum, e cioè se lo facciamo con un atteggiamento sereno, dignitoso e umile che vuole mettere il potere che ci da questo humanum al servizio del Creatore e delle altre sue creature, o piuttosto con un atteggiamento ansioso, aggressivo o apologetico,
che vede questa specificità sotto attacco e vuole difenderla a tutti i costi.
Il secondo elemento farà cenno alla primarietà dell’udito (rispetto alla vista) che emerge dagli ultimi studi sulle parti del cervello che analizzano e producono le parole e i pensieri: sembra che noi pensiamo e permutiamo “suoni”, anche quando leggiamo o ragioniamo in silenzio.
Questo ci fa ricordare una simile primarietà nel mondo biblico, specialmente nella Prima Alleanza.